Archivio mensile:Febbraio 2013

Savini – conclusione Esercizio 1

I ragazzi ci hanno fatto avere, per tempo e tramite mail, le foto che hanno scattato da soli a partire dallo scorso incontro, così da poterle visionare in modo accurato e iniziare subito la lezione di oggi con critiche, riflessioni e interrogativi circa il loro lavoro.

Le impressioni che abbiamo avuto non sono state molto diverse da quelle che sono emerse dalla valutazione degli scatti fatti dai bambini delle elementari, e abbiamo ritenuto opportuno dare ulteriori spiegazioni. L’impostazione generale che hanno avuto nell’inquadrare e nel disporsi all’interno dello spazio è risultata sostanzialmente semplice e, in alcuni casi, anche piuttosto ripetitiva. Le foto sono per la maggior parte simmetriche e ortogonali, oppure scattate frontalmente, dovrebbero perciò variarne quantomeno l’angolazione. È inoltre evidente quanto loro possano essere condizionati da ciò che vedono abitualmente, limitati al flusso di immagini assorbite da tanta e tanta televisione e troppo poco cinema (di un certo tipo). Un’analisi critica del lavoro svolto è quindi essenziale per cercare di migliorarne l’approccio.

Marco ha poi proposto delle immagini che rafforzano il concetto della messa in scena su cui abbiamo voluto insistere, come lo splendido dipinto di Caravaggio, La vocazione di San Matteo. Le linee, la tensione evidente sui corpi che agiscono possono sicuramente rendere più visibile quel  determinato sentimento, così come il riuscire a sfruttare altre tipologie di disposizione.

Sono poi state mostrate alcune foto scattate da Josef Koudelka e un estratto dal film Vertigo per analizzare la posizione della mdp e i movimenti di macchina con cui Hitchcock ha ripreso il momento in cui Scotti vede per la prima volta la misteriosa moglie di Elster nel lussuosissimo ristorante (estratto presente del dvd della Cinematheque e molto significativo per l’uso cromatico dello spazio).

Proseguendo con l’esercizio “una foto / un sentimento”, abbiamo deciso di portare i ragazzi fuori dalla scuola raggiungendo la vicina Piazza Dante. Raggruppati in un vicolo, i ragazzi hanno iniziato a pensare come sfruttare al meglio le caratteristiche del luogo in cui si trovavano per rappresentare diversi sentimenti. Tra le principali difficoltà continua ad esserci quella dell’attacco, ossia dell’individuare il punto di vista della mdp in rapporto a ciò che si sta rappresentando. Così siamo stati attenti a chiarire, di volta in volta, le motivazioni per le quali alcune proposte possono funzionare ed essere prese in considerazione ed altre no.

In questa secondo parte dedicata allo svolgimento del primo esercizio abbiamo giocato molto sulla disposizione delle figure in primo e secondo piano, sull’impressione del movimento e sulla messa a fuoco – sebbene alcuni scatti evidenziano inequivocabilmente l’apporto personale del formatore.

Una foto / un sentimento – Esercizio n° 1

IMG_4629Con l’incontro di oggi abbiamo affrontato le dinamiche che regolano la messa in scena dando avvio allo svolgimento del primo esercizio assegnato dalla Cinèmatèque e che potremmo denominare “una foto, un sentimento”.

L’approccio iniziale è stato quello di simulare la posa di una foto, variando di volta in volta le espressioni del viso, la relazione tra i due soggetti, la distanza tra l’uno e l’altro; di far capire come una persona si muove nello spazio, come riesce a comunicare qualcosa, come si esprime con il viso, con i gesti. Ad esempio, prendendo un bambino e una bambina abbiamo provato a rappresentare (e quindi anche a differenziare), prima un rapporto di fratellanza, poi di amicizia, e infine d’amore.IMG_4637

Entrando più nello specifico, abbiamo disegnato alla lavagna due figure immerse in uno spazio e poi racchiuse in vari tipi di inquadrature, per diversificare delle situazioni, mettendo in evidenza gli elementi su cui bisogna lavorare per svolgere il primo esercizio:  la posizione dei due (o più) personaggi/attori, il movimento dei loro corpi; il rapporto tra di loro; e infine come bisogna fotografare/riprendere queste tre cose in modo tale da far capire che si è voluto rappresentare quel particolare sentimento. Così, dopo diverse lezioni teoriche, i bambini hanno cominciato a sperimentare direttamente la pratica della messa in scena, provando a rappresentare il sentimento della rabbia. Li abbiamo prima aiutati a comprenderne il significato, il come e quando questo sentimento si manifesta; poi ognuno di loro ha dovuto pensare a un’idea che potesse funzionare bene per il nostro discorso, magari attingendo anche alle immagini dai loro trascorsi, dalle proprie esperienze.

IMG_4647

Dalle prime proposte abbiamo notato che i bambini avevano pensato a delle situazioni ed espressioni che riflettevano più un sentimento di invidia che di rabbia, perciò abbiamo spiegato brevemente quale fosse la differenza e fornite delle piccole indicazioni. Un primo e significativo esempio ci è venuto da Alessio, che ha immaginato di rappresentare il sentimento attraverso il gesto e l’espressione con cui un compagno è intento a fermare un altro compagno che sta per strappare la pagina da un quaderno a cui lui tiene molto. Per far capire meglio come accentuare una simile situazione, abbiamo consigliato, nello scegliere le espressioni dei due compagni e la posizione dei loro corpi, che devono evidenziare sia il motivo che la conseguenza di quella rabbia, per quel gesto. I bambini hanno capito come, cambiando e migliorando anche di poco alcuni particolari, si possa ottenere un effetto migliore. Subito dopo un altro bambino, Fabio, ha scattato la stessa azione, ma collocandosi ad un punto diverso e utilizzando un’altra inquadratura. Mentre Federica ha preferito risaltare più i volti dei due compagni avvicinandosi soprattutto al compagno che sta subendo il torto e in cui risiede, appunto, il sentimento di rabbia.

IMG_4654

Dopodiché, ad uno ad uno i bambini sono stati chiamati a nominare un sentimento a cui hanno pensato e che potrebbe essere usato per le esercitazioni: invidia, avvertimento, curiosità, paura, amicizia, gioia, tristezza, riflessione, angoscia, malinconia, pazienza, indifferenza, vergogna, felicità, solidarietà, gentilezza, menefreghismo, solitudine. Alcuni di questi verranno rappresentati in classe anche nel prossimo incontro; sugli altri dovranno lavorare, individualmente, e al di fuori del laboratorio, nei prossimi giorni. Ognuno di loro dovrà scegliere almeno un sentimento, può farsi aiutare esclusivamente da un suo compagno o da una sua compagna – non da persone adulte, quindi – e chiaramente devono essere almeno in tre: uno che scatta la foto e due che interpretano la scena.

Per concludere abbiamo fatto un’altra prova in classe, in merito alla rappresentazione della solitudine, ideata e scattata da Gaia, poi da Piergiuseppe e Martina, da punti diversi dell’aula e da diverse distanze. Infine abbiamo provato a raccontare questo sentimento scegliendo uno spazio diverso e che lo amplifica enormemente: il corridoio. Anche qui sono state fatte alcuni scatti da diversi bambini, ma uno in particolare sembra evocare molto la solitudine, quello fatto da Emanuele, che ha pensato di sfruttare anche un altro elemento, quello della luce, o meglio della mancanza di luce, della zona d’ombra in cui era disposta la bambina in disparte.

Di seguito le foto che abbiamo selezionato da presentare alla Cinémathèque:

esclusionerabbia

Savini – Esercizio 1

Seguendo lo stesso procedimento adottato per la classe elementare, abbiamo chiesto ai ragazzi di scegliere un sentimento, associarlo ad un luogo della scuola e cercare di immaginare una giusta situazione, un’adeguata messa in scena, magari uscendo da immagini troppo stereotipate con cui un certo sentimento viene solitamente rappresentato.

IMG_4762 Trascorso il tempo necessario per lasciarli riflettere, ognuno di loro è stato chiamato a leggere quanto appuntato sul libretto e le idee che ci sembravano migliori venivano subito improvvisate. Nel sentire le loro proposte abbiamo messo in evidenza quella che ci è sembrata una delle ‘sviste’ ricorrenti in questo primo esercizio: lo scegliere delle situazioni, delle azioni che risultano visivamente poco efficaci, poco evocative o facilmente fraintendibili perché rinviano a qualcos’altro. Sebbene possano trovare delle difficoltà in questo tipo di operazione, è importante che i ragazzi riescano a trovare il modo di far coincidere il più possibile ciò che hanno immaginato (la propria idea) alla sua rappresentazione concreta, seguendo il metodo di lavoro e le varie indicazioni date per realizzarla. Per facilitare il compito dei ragazzi, abbiamo chiamato uno di loro alla lavagna invitandolo a disegnare, all’interno di un’inquadratura, gli elementi della sua messa in scena, descrivendo a voce il modo in cui le figure dovevano essere disposte e la loro posizione rispetto alla mdp. Con la partecipazione dei suoi compagni, abbiamo quindi stabilito quali dovevano essere i parametri di scatto.IMG_4798

In questo frangente, passando concretamente all’atto, alla realizzazione di un prodotto audiovisivo, si corre il rischio, per chi ha il compito di guidare un esercizio del genere,  di condizionare i ragazzi spingendoli ad un certo tipo di messa in scena, inquadratura, disposizione ecc., piuttosto che un’altra, limitando in questo modo anche la loro creatività, la loro libertà di espressione perché più attenti e interessati al risultato che alla pratica educativa in sé. E’ un pericolo più volte sollevato da Alain Bergala nel suo testo, L’ipotesi cinema, in cui paventa che l’oggetto da realizzare, foto o video che sia, diventi “la finalità stessa di una pratica creativa in classe, e di deviarla cosi dalla sua profonda ragion d’essere”. E’ un argomento importante sul quale torneremo e a cui lo studioso francese dedica alcune densissime pagine del suo volume.

Con gli alunni delle scuole medie si potrebbe anche fare un’ulteriore procedimento nell’atto di creare una messa in scena e di scattare una foto: potrebbero far finta di trovarsi in uno spazio vuoto (partire da un grado zero) e provare non solo ad inserirci gli attori-compagni, ma anche a cambiare elementi relativi alla ‘scenografia’ come è stato fatto, almeno in parte, con i bambini delle elementari.vergogna

Una prima prova più dettagliata l’abbiamo effettuata traendo spunto da un’idea che è venuta in mente ad una ragazza, su una tipica situazione di bullismo che però viene fermata da un gesto di solidarietà nei confronti di chi stava per essere colpito.

Con una seconda, invece, abbiamo provato a rappresentare il sentimento della vergogna inventando una situazione con un po’ di humor: una ragazza, seduta in prima fila, dopo aver fatto una puzzetta prova vergogna perché si accorge che i compagni vicino a lei ne hanno sentito il cattivo odore e la additano con scherno. In questo caso abbiamo tentato di sfruttare maggiormente lo spazio e le caratteristiche dell’aula in cui ci trovavamo.esclusione  solidarietà:aiuto